L'aoristo solo all'indicativo porta l'aumento, caratteristica che lo colloca nel passato, ed è solitamente tradotto col passato remoto in italiano.
L’aoristo esprime l’azione pura e semplice, che prescinde da ogni durata e limite di tempo: ἀόριστος χρόνος = tempo privo di limiti.
L’aoristo esprime un’azione nella sua puntualità, cioè considerata nella sua momentaneità o nella sua globalità, come un tutt’unico. Può più precisamente avere valore ingressivo, se l’azione è vista nel suo momento iniziale (ἐγέλασε, da γελάω = rise, scoppiò a ridere), oppure egressivo, se è vista nel suo momento finale (Οἱ στρατιῶται τὸν ποταμόν διέβησαν = i soldati attraversarono il fiume, passarono oltre il fiume).
L’aoristo ha un valore temporale, di azione esplicitamente collocata nel passato, solamente nell’indicativo, caratterizzato dall’aumento ε (collocato all’inizio del verbo per i verbi semplici, fra il preverbo e il tema nei verbi composti), da tradurre generalmente con un passato remoto italiano, raramente passato prossimo o, specie nelle subordinate, trapassato prossimo o remoto.
Tuttavia a volte l’indicativo aoristo si usa per esprimere proverbi o massime perennemente validi (aoristo gnomico) da rendere in italiano con un presente.
Gli altri modi dell’aoristo finiti (congiuntivo, ottativo ed imperativo) ed indefiniti (participio ed infiniti) non costituiscono di per sé tempo storico, limitandosi ad indicare l’aspetto dell’azione, non la sua collocazione nel tempo: in italiano quindi, vista l’impossibilità pratica di rendere le sfumature aspettuali, la loro traduzione non differirà spesso da quella di un presente.
In particolare imperativi, congiuntivi e ottativi aoristi indipendenti non esprimono mai azione passata.
Nelle subordinate con ottativo e congiuntivo, l’uso dell’aoristo si limita ad indicare l’aspetto puntuale: in genere si dovranno tradurre in un rapporto di contemporaneità rispetto alla reggente, ma in alcune subordinate con congiuntivo eventuale (composti di ἄν) o con ottativo obliquo (mai, ovviamente, nelle finali) la traduzione potrà anche esprimere un rapporto di anteriorità.
Anche nel participio ed infinito aoristo il valore è essenzialmente aspettuale e sarà solo il contesto a chiarire il rapporto temporale rispetto al verbo della reggente, tenendo conto che spesso in italiano (ad esempio nei participi congiunti) si tratta di una pura opzione stilistica.
L’aoristo presenta forma distinte per le diatesi attiva, media e passiva: il significato mediale appare quindi ben distinto da quello passivo. In sostanza non dobbiamo tradurre un aoristo medio con un significato passivo se non nei rari casi in cui il dizionario precisa che vi è identità di significato fra forma media e forma passiva.
È possibile dividere l’aoristo attivo e medio in tre grandi gruppi:
1. AORISTO DEBOLE (PRIMO) SIGMATICO ED ASIGMATICO.
È proprio della maggior parte dei temi in vocale e consonante ed è caratterizzato, tra il tema e le desinenze, da un suffisso σ, seguito per lo più dalla vocale α, originaria desinenza della prima persona dell’indicativo (originalmente una sonante m, vocalizzata in α a contatto con il sigma del suffisso: σm > σα), poi estesa in quasi tutte le persone come una sorta di vocale tematica. Le desinenze sono quelle secondarie (= storiche) nell’indicativo, mentre tutti gli altri modi presentano le desinenze caratteristiche.
a. L’aoristo debole sigmatico conserva in tutte le forme il suffisso σ ed è proprio di quasi tutti i verbi che hanno il futuro sigmatico. Il tema si presenta, nei verbi con apofonia qualitativa, al grado medio, come nel presente, mentre in quelli con apofonia quantitativa al grado allungato. Come nel caso del futuro, i temi in vocale presentano, per lo più, un allungamento prima del sigma:
ᾰ pura (cioè preceduta da ε, ι, ρ) → ᾱ ᾰ impura (non preceduta da ε, ι, ρ) → η ε → η ο → ω ῐ → ῑ ῠ → ῡ
I dittonghi, invece rimangono inalterati (a parte il caso di πλέω, πνέω, ῥέω, καίω, κλαίω, in cui, di fronte al σ, l’originario digamma si vocalizza in υ = ἔπλευσα) Nei temi in velare (gutturale), l’incontro della κ, della γ o della χ con il suffisso σ porta alla consonante doppia ξ. Nei temi in labiale, l’incontro della π, della β o della ϕ con il suffisso σ porta alla consonante doppia ψ. Nei temi in dentale, l’incontro della τ, della δ o della θ con il suffisso σ, porta alla scomparsa della dentale: rimane pertanto il solo sigma. Quando la dentale è preceduta da nasale anch’essa cade producendo un allungamento di compenso: σπένδω→ ἔσπεισα
b. L’aoristo debole asigmatico è proprio di verbi in liquida (λ, ρ) e nasale (μ, ν) che presentano anche il futuro contratto (cosiddetto asigmatico). Qui l’originario suffisso σ cade, provocando, diversamente da quel che avviene nel futuro, un allungamento della precedente vocale del tema. Le terminazioni sono uguali a quelle dell’aoristo sigmatico.
2. AORISTO FORTE (SECONDO).
È proprio di alcuni temi monosillabici (radicali) in consonante. L’indicativo aoristo II presenta la stessa struttura dell’imperfetto attivo della coniugazione tematica (aumento + tema + vocale tematica a/e + desinenze secondarie), mentre congiuntivo, ottativo, imperativo, infinito e participio presentano la stessa struttura dei modi corrispondenti del presente della coniugazione tematica. È così possibile distinguere le forme dell’aoristo II dall’indicativo imperfetto e dagli altri modi del presente solo per la presenza di un tema temporale variato.
Si può avere infatti: * l’impiego di un diverso grado apofonico della vocale del tema. Generalmente se nel presente c’è il grado medio (ε), l’aoristo ha il grado zero (λείπω→ ἔλιπον); più raro è il contrario (al presente γίγνομαι, con il grado zero γν raddoppiato corrisponde l’aoristo ἐγενόμην, con il grado medio γεν non raddoppiato). * la caduta di un suffisso proprio del presente (ἁμαρτανω → ἥμαρτον, dove scompare il suffisso αν). * l’impiego di un tema completamente diverso, nei verbi politematici (ἐσθίω → ἔϕαγον) * l’eliminazione o l’aggiunta di un raddoppiamento (ἄγω → ἤγαγον, da ἀγ-ἀγ-), per lo più in verbi già soggetti a variazioni apofoniche o politematici.
L’accento si comporta come nell’imperfetto e presente dei verbi non contratti in ω, tranne che nella seconda persona dell’imperativo medio (λιποῦ), nell’infinito attivo e medio (λιπεῖν, λιπέσθαι), e nel participio attivo dove nell’aoristo secondo l’accento cade sulla vocale tematica (λιπών, λιποῦσα, λιπόν). Nell’aoristo II di ὁράω, λέγω, ἔρχομαι, εὑρίσκω e λαμβάνω anche la seconda persona dell’imperativo attivo è ossitona (ἰδέ, εἰπέ, ἐλθέ, εὑρέ, λαβέ )
3. AORISTO FORTISSIMO (TERZO).
È proprio di pochi temi apofonici in vocale, che mostrano le desinenze unite direttamente al tema senza la presenza di una vocale tematica o di suffissi. Fa eccezione il congiuntivo, dove sono presenti le caratteristiche vocali tematiche allungate η e ω, e l’ottativo, dove ricorre il suffisso modale ι. Le desinenze sono quelle secondarie (storiche) per l’indicativo, quelle caratteristiche per gli altri modi: le forme mediali sono praticamente assenti, in prosa. L’ultima vocale del tema si presenta in forma allungata secondo le regole abituali (α pura in α, α impura in η, ecc.), ma nell’ottativo, nella terza persona plurale dell’imperativo e nel participio, diventa breve per influenza della legge di Osthoff, secondo cui una vocale lunga seguita da liquida / nasale / ι / υ + consonante, si abbrevia. Nel caso dell’ottativo, che presenta la caratteristica modale alternante ιη − ι, la legge è propriamente valida per le due prime persone plurali e per il duale - dove si trova vocale lunga + ι + consonante (ed es. γνωιμεν > γνοῖμεν) - ma si estende anche alle altre persone. Nel caso del participio la legge è valida per la presenza dopo la vocale del suffisso ντ - quindi vocale lunga + nasale + consonante (γνωντες > γνόντες): tuttavia la caduta del suffisso nel nominativo maschile e femminile ha portato ad un allungamento di compenso della vocale in questione: γνωντς > γνοντς (per la legge di Osthoff) > γνούς γνωντjα > γνοντja (id.) > γνοῦσα.
Alcuni verbi uniscono all’aoristo terzo (che ha valore per lo più intransitivo) anche una forma di aoristo primo, con valore transitivo (causativo). βαίνω → aoristo I ἔβησα = feci andare, mandai → aoristo III ἔβην = andai (intr.) ϕύω → aoristo I ἔϕυσα = generai, feci nascere → aoristo III ἔϕυν = nacqui, fui (intr.) δύω → aoristo I ἔδυσα = feci immergere → aoristo III ἔδυν = mi immersi, sprofondai (intr.) γιγνώσκω→ aoristo I ἔγνωσα = feci conoscere → aoristo III ἔγνων = venni a conoscenza, conobbi (trans.)
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