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Immagine del redattoreArmando Di Bucchianico

PLATONE, TOLKIEN e l'UNICO ANELLO

Un Anello per domarli, un Anello per trovarli, un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli“. Probabilmente sono in pochi a non conoscere il riferimento a questo breve passaggio della poesia di Tolkien che descrive gli anelli del potere., inserita all’interno de “Il Signore degli Anelli”, caposaldo della letteratura Fantasy prima e acclamata trilogia cinematografica poi.

Il grandissimo scrittore e filologo inglese ha reso famoso il concetto di “unico anello”, e l’ispirazione gli venne anche da un’antichissima storia narrata da Platone nel suo “La Repubblica” (in greco antico: Πολιτεία, Politéia), scritto fra il 390 e il 360 a.C. La storia narrata dal filosofo greco collima, per alcuni aspetti, con quella di Tolkien, sia dal punto di vista del pensiero filosofico sia da quello di un artefatto in grado di corrompere anche il più disinteressato degli uomini.


L'Anello di Gige

Il pastore Gige si trovava al servizio di Candaule, Re della Lidia, nell’odierna Turchia.

Dopo un terremoto si aprì una voragine nelle montagne dove Gige portava al pascolo gli animali. Curioso, il pastore si avventurò all’interno della spaccatura, e qui vi trovò un cadavere di un essere umano molto più grande del normale che montava un enorme cavallo in bronzo. Il cavaliere portava al dito un magnifico anello d’oro, che Gige afferrò con cupidigia.

Una volta fuori dalla voragine si infilò l’anello al dito. Dopo poco scoprì, per caso, che questo era un anello magico: girando il castone all’interno della mano, infatti, era in grado di renderlo invisibile

Il pastore, dapprima decise che avrebbe derubato l'intera città e, dopo aver fatto ciò, si recò al palazzo reale per fare un resoconto ai sovrani sulle greggi ma, una volta al cospetto dei monarchi, usando il potere dell’anello sedusse la regina e uccise il Re, prendendone il posto come sovrano della Lidia.


Morale

Platone vuole evidenziare come il concetto di moralità sia legato esclusivamente al controllo della società e che, se lasciato senza imposizioni sociali, qualunque uomo sia capace delle azioni peggiori per ottenere dei benefici. I comandamenti della successiva religione cristiana, fra i quali spicca il quinto “Non uccidere”, furono concepiti per imporre una morale in grado di contenere gli impulsi distruttivi degli uni contro gli altri, coniugandoli con il concetto di un Dio “onnisciente”, che vede ogni cosa e giudica le azioni dell’uomo.

Glaucone, il personaggio cui Platone fa narrare la storia, fa un ulteriore esempio:

Se si desse un anello magico all’uomo più giusto e un altro all’uomo più ingiusto, i due finirebbero per comportarsi in egual modo perché, una volta invisibili, non sarebbero sottoposti al giudizio della società. Secondo Glaucone, nessun uomo può resistere al potere quando non teme la punizione, e le azioni dei due uomini finirebbero per essere identiche.


Punti di contatto fra Platone e Tolkien

Il grandissimo filologo inglese, ben lungi da qualsiasi idea di “copia” del filosofo greco, rielaborò il concetto dell’anello e lo trasformò in qualcosa di diverso. L’anello è sempre in grado di corrompere l’uomo, ma alcune creature, gli Hobbit, sono in grado di resistere alla tentazione del potere assoluto. L’anello di Tolkien viene usato per diventare invisibili, ma è il suo enorme potere ad affascinare Isildur, il Re degli Uomini che lo tagliò dal dito di Sauron, e che lo porterà a non distruggerlo fra le fiamme del Monte Fato.

La brama di potere di Isildur è simile a quella di Gige, ma il finale pensato dai due autori è opposto: mentre Isildur viene ucciso dagli orchi durante un’imboscata per volere dell’anello, che gli si sfila dalla mano e lo rende nuovamente visibile, Gige diverrà Re della Lidia proprio grazie al potere dell’anello.

L’anello di Tolkien corromperà poi Gollum e finirà fra le mani di Bilbo e Frodo Baggins. Infine, con l’aiuto di Samwise Gamgee, l’unico fra uomini e hobbit in grado di resistere in toto al malefico potere seduttivo dell’anello, il gioiello di Sauron sarà distrutto fra le fiamme del monte Fato.



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