In principio c’era Prometeus, l’uomo che rubò il fuoco agli dei e lo diede agli uomini, finendo però punito dalle divinità. Un moderno Prometeo, come dice Nolan nell'incipit del suo più recente capolavoro, è Oppenheimer, il fisico inventore, con un gruppo di scienziati, della prima bomba atomica, in piena Seconda guerra mondiale, la quale farà concludere terribilmente il conflitto e aprirà la porta all’era nucleare. «Io sono il male, il distruttore di mondi», dice ad un certo punto lo scienziato, ebbro di stupore e di esaltazione per la sua opera che lo ha reso una star mondiale, capace di rendersi conto della potenzialità di un ordigno che, a suo dire, avrebbe dovuto porre fine alla guerra e iniziare un’era di pace. Cosa ampiamente smentita dal futuro e di fatto anche inizio della “guerra fredda” tra Usa e Unione Sovietica.
Il progetto, attuato in pieno deserto del New Mexico, in isolamento, da una équipe di scienziati, non darà inizio a un periodo di tregua tra i popoli, ma di terrore per una possibile catastrofe universale; una guerra nucleare, letale per ogni forma di vita sulla terra. Cosa di cui lo stesso scienziato si renderà conto nell’immediato dopoguerra, quando verrà addirittura processato negli Usa come comunista, spia russa, e quando il presidente Truman cinicamente lo deriderà, prendendosi lui il merito di aver posto fine al conflitto mondiale: il cinismo dei politici sa servirsi delle persone adatte ai propri progetti, per poi sbarazzarsene. Anche se in seguito verrà riabilitato, la parabola di Oppenheimer si chiuderà melanconicamente.
Il film racconta in tre ore, con un commento musicale acutissimo inframmezzato da silenzi di sospensione e splendide immagini visive, in un clima di ansia costante, la vicenda personale e familiare dello scienziato ebreo, uomo enigmatico, lucido e ambizioso, insieme a quella storica e americana, le cui conseguenze viviamo ancora. Con una narrazione sintetica, non lineare, tra oscillazioni di punti di vista accompagnate da giochi di colore, il lavoro è grandiosamente apocalittico, potente, ponendo lo spettatore a contatto diretto con il soggetto principale del film di Nolan (forse anche degli altri suoi film), cioè la morte.
La morte evocata dall’inizio alla fine, e che continua a essere presente come un possibile spettro universale, con quella bomba e i suoi derivati, progetto a cui Einstein si rifiutò di collaborare, temendone a ragione le conseguenze sull’umanità.
La recitazione di un attore carismatico come Cillian Murphy che presta anima e corpo al lavoro, un corpo esilissimo, nervoso, due occhi azzurri brillanti e talora allucinati, insieme ad un cast magnifico (Matt Damon, Robert Downej Jr., Emily Blunt, Florence Pugh) esalta questo poema apocalittico che non racconta solo una biografia, ma apre le porte ad una riflessione sul presente, sul male che porta alla morte e sul potere dell’uomo di autodistruggersi.
Rifuggendo dalla retorica e dai proclami, narrando con sintesi teatrale, Nolan ci presenta un kolossal biografico dalle molte anime in scene memorabili (l’attesa spasmodica dell’esperimento, l’incontro con Einstein e il presidente, il processo-farsa, l’esplosione…), in cui Prometeo-Oppenheimer crea, distrugge e semina un nuovo inizio per l’umanità, un dramma attuale che ci rende fragili, insicuri ma anche arditi nelle esplorazioni spaziali. Con la domanda sui limiti anche morali della ricerca scientifica, sul nucleare come via per la pace o per la morte. La vita e la morte ancora una volta nel film bello e terribile di Nolan, molto più che una stupefacente biografia.
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